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FAQ E SENTENZE

FAQ

In teoria è sempre possibile raggiungere con un lavoratore un accordo per uno stipendio forfettario, anche quando lavora a ore. Purché questo non implichi una riduzione della retribuzione oraria al di sotto dei minimi tabellari.

In altre parole, se si concorda con una colf a ore (livello B del CCN di Lavoro Domestico) uno stipendio mensile forfettario di 800 euro, il numero massimo di ore di lavoro che potrò denunciare all’INPS e inserire nel contratto di lavoro non sarà superiore a 32 (valore basato sui minimi tabellari 2016).

Altrimenti metteremmo nelle mani del lavoratore lo strumento per farci vertenza (e vincerla) al termine del rapporto di lavoro.

Denunciare all’Inps meno ore del reale rappresenta una vera e propria evasione contributiva.

Di fatto però l’INPS ha poco interesse ad effettuare accertamenti nei confronti dei datori di lavoro domestico e assai spesso “fa finta di credere” che i contratti siano degli autentici part-time.

A rimetterci, in questi casi, è il lavoratore che, con meno ore denunciate, avrà un’anzianità contributiva inferiore, un’indennità di disoccupazione più bassa, assegni per il nucleo familiare ridotti, ecc.

L’indennità di vitto e alloggio è un parte integrante della retribuzione dei lavoratori conviventi.

E’ come se i lavoratori conviventi venissero pagati attraverso DUE canali:

  1. la retribuzione monetaria (cioè il denaro che corrispondo a fine mese)
  2. la retribuzione in natura (cioè il vitto e l’alloggio) il cui valore convenzionale viene stabilito ogni anno dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in funzione dell’andamento dell’inflazione.

 Finché il badante è in casa e gode del vitto e dell’alloggio, non bisogna corrispondere monetariamente l’indennità di vitto e alloggio. E’ invece necessario monetizzarla in tutti quei casi in cui non può essere goduta in natura, e cioè:

  • quando il lavoratore è in ferie (quindi non è in casa e non ne gode)
  • quando viene pagata la tredicesima (non esiste un tredicesimo mese durante il quale il lavoratore possa godere del vitto e dell’alloggio in natura)
  • quando viene calcolata la liquidazione (TFR).

Purchè al lavoratore venga garantita un’alimentazione sana e completa e purché l’alloggio sia sufficientemente confortevole, non è necessario corrispondere il relativo importo in denaro durante gli 11 mesi di normale attività lavorativa.

In linea di principio quello alle ferie è un “diritto indisponibile” del lavoratore. Ciò significa che, dopo due anni in cui il lavoratore non chiede di andare in ferie, dorebbe essere il datore di lavoro stesso a “mettere in ferie” il lavoratore.

Di fatto, soprattutto se parliamo di badanti conviventi, al datore di lavoro fa spesso piacere che il lavoratore rinunci alle proprie ferie e se le faccia retribuire. In questo modo non dovrà scervellarsi per trovare un lavoratore sostituto e, non da ultimo, spenderà di meno.

La retribuzione del lavoratore in questi casi dovrà però includere l’indennità di vitto e alloggio che rappresenta una parte integrante del corrispettivo dovuto. Non versarla significa sottrarre al lavoratore una parte della retribuzione dovuta.

Non rileva l’eccezione che spesso il datore di lavoro fa, cioè il fatto che, rinunciando al godimento delle ferie, il lavoratore in quel periodo fruisce del vitto e dell’alloggio. Non rileva perché tale rinuncia non è prevista dall’ordinamento e la trasformazione delle ferie in un compenso monetario non ne modifica le caratteristiche. Se le ferie venissero infatti liquidate al termine del rapporto di lavoro, l’importo corrisposto includerebbe l’indennità di vitto e alloggio. Il fatto che vengano liquidate mentre il rapporto di lavoro è in corso, non può modificare l’entità dell’importo corrisposto.

Dal 2013 il contratto nazionale prevede un modo nuovo (e più equo) per pagare le festività infrasettimanali.

Ogni datore di lavoro deve pagare gli X sesti del valore medio della giornata di lavoro (dove X rappresenta il numero di giorni di lavoro settimanali), indipendemente dal fatto che la festività cada o meno in una giornata lavorativa.

Ad esempio, anche se il lavoratore lavora nei giorni pari (martedì, giovedì e sabato) e la festività cade di mercoledì, il datore di lavoro dovrà versare i 3/6 della retribuzione media giornaliera.

I lavoratori domestici non hanno copertura Inps per la malattia.

In caso di malattia il datore di lavoro verserà la retribuzione per un massimo di 8, 10 o 15 giorni di calendario l’anno, in funzione dell’anzianità di servizio. Dopo di che il lavoratore perde ogni copertura.

I primi tre giorni di malattia nell’anno sono sempre pagati al 50%.

E’ importante tenere conto del fatto che, affinché un’assenza possa essere trattata come malattia, il lavoratore dovrà presentare un regolare certificato, rilasciato dal suo medico di medicina generale, ovvero trasmetta il numero di protocollo del certificato che consente al datore di lavoro di prenderne visione dal sito dell’Inps.

In assenza del certificato medico, l’assenza è da considerare come ferie o permesso non retribuito (se le ferie sono esaurite).

Prima di tutto in caso di infortunio sul lavoro o in itinere deve esserci consegnato dal lavoratore il certificato di pronto soccorso che attesti la gravità dell’infortunio subito e la prognosi. Solo da quel momento scatta la decorrenza dei termini di denuncia.

Se la prognosi è superiore a 3 giorni è necessario compilare e spedire entro 48 ore all’Inail il modulo di denuncia di infortunio. Una seconda copia del modulo andrà poi consegnata, negli stessi tempi, al Commissariato di Polizia competente territorialmente.

Se, per pura inconsapevolezza o distrazione, abbiamo superato i termini previsti dalla normativa, l’unica speranza è quella di ottenere la collaborazione del lavoratore, il quale dovrebbe dichiarare di averci consegnato il certificato non più di 48 ore prima di quando lo abbiamo spedito. L’Inail purtroppo è assai poco elastico e un ritardo nella comunicazione di infortunio costa una sanzione che va da un minimo di 1.290 ad un massimo di 7.745 euro.

La certezza di non subire una vertenza non c’è mai.

In linea di principio, se il contratto è ben fatto, i minimi retributivi sono rispettati, le buste paga vengono regolarmente quietanzate dal lavoratore e i pagamenti vengono effettuati in modo tracciabile, il rischio è assolutamente trascurabile.

Nel 2014, su oltre 1400 rapporti di lavoro gestiti, Assofamiglie ha subito solo due vertenze, entrambe risoltesi positivamente per il datore di lavoro. Nel 2015, su oltre 2000 rapporti di lavoro gestiti, le vertenze sono state solo due. Anche in questo caso conclusesi in sede stragiudiziale con un nulla di fatto.

Se invece il rapporto di lavoro è stato gestito in modo “casareccio”, vale la pena di valutare la possibilità di portare avanti una conciliazione sindacale in fase di chiusura e di saldo dei corrispettivi.